La casa

La casa si trovava in cima al più alto grattacielo di Nuova Nova. Ci andai una mattina di settembre, presi l’ascensore e salii su, su fino all’ultimo piano, il quarto piano, e da lì ancora più su. Mi arrampicai dall’esterno dell’edificio con la forza dei soli avambracci che misi a mo’ di ventosa, per aderire alle vetrate a specchio della facciata.
Scoprii solo poi che c’erano le scale.

Giunsi così sin sul tetto. Il tetto era una terrazza in cui nessuno doveva aver messo piede da tre giorni a quella parte, almeno, da come era conciata!
Lassù, erano cresciute piante di ogni genere: rampicanti, rododendri, eucalipti, ninfee, un pero e vidi anche un giovane baobab.

Scimmie antropomorfe, evolutesi dagli uomini, che avevano mantenuto la capacità di parola, si divertivano a scorrazzare tra i banani in fiore. Parlavano continuamente tra loro e presero presto a parlare anche a me. Ma io sapevo non dovevo dar loro ascolto allo stesso modo di Ulisse colle sirene.

Ero nel posto giusto, proprio al centro di quella foresta vergine stava la casa che aspettava solo di essere violata da me. Così, trepidante, provvisto di una torcia frontale, un lanciafiamme e di una sega elettrica, mi aprii un cammino attraverso quella giungla.
Tanto ero preso a menare segate a destra e a manca, tra serpenti, panda e bambù, che mi accorsi di essere arrivato solo quando il mio strumento cozzó violentemente contro qualcosa di duro. Era lei, finalmente, la casa.

La facciata dell’edificio, completamente ricoperta di ambrosia e gelsomino, mi appariva vetusta e solenne come un papa bardato a festa; ci girai attorno e trovai la porta d’ingresso. Non dovetti forzarla, si spalancò da sola appena mi avvicinai. Forse fu magia, forse una fotocellula. Entrai.

Vidi ciò che vidi, feci ciò che feci, non tornai mai più indietro. Lì dentro si ballava il bunga bunga, si suonavano tutti gli strumenti del mondo, e nel pavimento ci si poteva anche nuotare.

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