Scarpe

Scarpe,
inutili contenitori vuoti.
Inutili, intendo, senza piedi che le calzino.

Ma dei piedi nessuna traccia.
Nessuna traccia ormai dai tempi che furono,
né un’orma né una puzza, neanche lontana.

Quelle scarpe anelavano trillici, illici e alluci che si allungassero dentro loro,
forti calcagni che sconquassassero le loro morbide gomme.

Invece, solo polvere e Humus di insetti e foglie morte contenevano,
sedimentato da anni;
e nessuna orma di piedi.

Dunque, vi chiederete, che facevano lì quelle scarpe?
Niente.
Restavano per lo più immobili,
sicuramente stazionarie,
in fondo, confinate come erano entro quello sghembo balconcino
cosa avrebbero potuto far di più?

Così, pensavano, sconsolate,
di essere reiette e condannate;
e per trovar consolazione,
o almeno un qualcosa che si avvicinasse ad essa,
s’appaiavano.

S’appaiavano continuamente tra loro, e gioivano
quando finalmente trovavano la compagna a lor simile.
Mai più poi la lasciavano.

“Due involucri vuoti ne fanno uno pieno”, questo pensavano.
Che dire? La matematica non era il loro forte.

“Vorrei inghiottirti” fu sentito dire, e di seguito:
“per sentirmi piena, sai, devi scusarmi, lo dico perché ti voglio un mondo di bene”
E il loro mondo era nient’altro che quelle mattonelle, sporche e lerce.
Immaginate dunque quanto fosse inquinato il bene che si volevano.

E capitava anche che una scarpa venisse al mondo
e si trovasse poi sola, completamente sola,
senza una compagna.

E allora che faceva quella?
Faceva che passava la vita a cercarla, una compagna.
Incessantemente l’agognava
e finiva logora
a tal punto che,
se anche alla fine l’avesse trovata,
nessuna coppia sarebbe mai nata
tanto s’era quella snaturata.

E poi ancora,
qualcuna aveva anche pensato di saltar oltre il confine di quel pianerottolo,
ma il pensiero non era abbastanza.

Il fatto è che le sbarre se le portavano addosso,
come ombre,
e quelle ombre subissavano ogni loro pensiero.
Era questa la vera loro condanna.

Eppure, la sera.

La sera accadeva che
il sole, tramontando, portava via tutti gli inganni,
la gabbia cessava di proiettare il peso della sua sagoma.
Niente più ombre, niente più gabbie.

Di notte, le scarpe dormivano, sognando la libertà;
di notte, le scarpe, se solo fossero rimaste sveglie, si sarebbero accorte dell’illusione della caverna di spettri che abitavano.

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